Suor Orsola Benincasa
Orsola Benincasa nacque a Napoli (dove i genitori si erano trasferiti) il 21 ottobre 1550 da Girolamo Benincasa e Vincenza Genuino, entrambi di Cetara. Quando era ancora piccola tutta la famiglia tornò a vivere a Cetara dalla quale poi Orsola si dovette separare per il pericolo musulmano tornando a Napoli.
La sua vita fu totalmente dedicata a Dio; ebbe visioni ed estasi e fu sottoposta all'esame di una commissione inquisitoria presieduta da San Filippo Neri superando la durissima prova. Nel 1583 a Napoli fu autorizzata a costituire una congregazione di oblate (religiose non legate con voti) e nel 1617 dettò le Regole della Congregazione. Il 20 ottobre 1618 morì a Sant'Elmo (Napoli) e nel 1633 i Padri Teatini accettarono il governo e la direzione spirituale di quelle che da allora furono chiamate le "Suore Teatine dell'Immacolata Concezione". Nel 1793 Pio VI proclamò le virtù eroiche di Madre Orsola nella Basilica di Sant'Andrea della Valle in Roma.
Grandinetto D'Aulisio
Nato a Cetara, visse ai tempi del dominio Aragonese. Fu lui che insieme ad un gruppo di compatrioti salvò Federico, secondogenito del Re Ferdinando che era tenuto prigioniero presso la torre della marina di Salerno dai baroni ribelli con i quali era andato in quella città per trattare la pace. L’episodio, passato alla storia come "La congiura dei Baroni", è ricordato su una lapide presente nella chiesa parrocchiale di S. Pietro Apostolo a Cetara.
Pare che Grandinetto possedesse anche degli schiavi, tanto che nel novembre del 1495 ne vendette uno “nero di nome Phago di anni 20 circa” all’Arcivescovo di Amalfi, Andrea Cunto. Si pensa anche che dal modo in cui concorse alla liberazione di Federico possedesse anche varie barche adibite alla pesca ed al traffico. Essendo morto il Cardinale Giovanni d’Aragona, figlio di Ferdinando, il 17 ottobre 1485 ed essendo vacante la sede del seggio secolare dell’abbazia di S. Maria di Erchie il Re ne approfittò per rendere a Grandinetto un primo segno di riconoscenza per i suoi servigi intercedendo presso il Pontefice, affinché l’abbazia venisse data in commenda ad Anton Francesco d’Aulisio suo figlio. Mentre la tomba è andata distrutta, la lapide murata a circa 3 metri dal pavimento si trova nella chiesa di S. Pietro Apostolo.
Don Giulio Genoino
Don Giulio Genoino nacque a Cetara nel 1567, avvocato e sacerdote, fu l'eminenza grigia del viceré, il secondo duca d'Ossuna sotto il quale ricoprì importanti cariche pubbliche. Nel 1619 il duca d'Ossuna per timore che volesse sostituirsi al re, fu sospeso dall'incarico e creò grandi tensioni per opporsi all'arrivo del suo sostituto. Infine il duca e Genoino dovettero scappare in Spagna, ma in seguito furono imprigionati. Solo nel 1638 poté fare ritorno a Napoli dove il malcontento era al massimo. Don Giulio Genoino, il vecchio agitatore dei tempi dell'Ossuna, allora ottantenne, fu il profeta e l'ideologo della rivoluzione.
Il 9 luglio 1647 stese un testo con le richieste degli insorti tra le quali c'era anche la richiesta di perdono per "Tomas' Aniello d'Amalfi e i suoi compagni, per atti commessi durante l'insurrezione. Il viceré per dividere Genoino da Masaniello nomina il primo presidente della "Regia Camera della Sommaria". Don Giulio rispose che era pronto ad abbandonare Masaniello a condizione della pronta conferma regia del concordato. In seguito dovette imbarcarsi per la Sardegna e in seguito gli fu ordinato di spostarsi a Malaga ma durante la navigazione morì presso le Baleari nel 1648.
Francesco Federici
Francesco Federici nacque a Cetara nel 1739, marchese di Pietrastormina, fu maresciallo sotto il re e generale della repubblica.Nel 1755 entrò nel reggimento di cavalleria "Napoli" e ben presto fu posto al comando di una divisione di cavalleria a Gaeta. Nel 1760 fu scelto per recarsi con altri ufficiali a Berlino da Federico II per aggiornarsi sulle rinnovate tecniche di guerra. Al comando del reggimento "Principe" partecipò nel 1796 alle battaglie di Fombio, Valleggio e Lodi, in cui Napoleone Bonaparte sbaragliò il generale austriaco Beaulieu.
Il 6 novembre 1798 Federici che comandava i reggimenti "Borbone", "Principessa" e "Principe Alberto" fu chiamato a Teano. Le armi borboniche furono scomposte, i Francesi entrarono in Napoli ed ebbe inizio l'ordinamento dell'esercito della repubblica e gli fu affidata la composizione della cavalleria. Ma ai primi di aprile le truppe francesi ebbero l'ordine di risalire verso Genova abbandonando Napoli al suo destino. Il 23 giugno fu sottoscritta la capitolazione: ai repubblicani si garantivano la vita e la libertà a Napoli oppure il permesso di imbarcarsi per Tolone. Ma la regina aveva già deciso la loro sorte. Il generale Federici fu imprigionato a Castel Nuovo e processato da un consiglio di guerra. Il 23 ottobre salì al patibolo e volle che un suo familiare gli coprisse il collo per evitare di essere toccato dalla mano del carnefice. Prima di morire rivolse alcune nobili parole ai soldati schierati, che piangevano di dolore.
Serafina Apicella
Serafina Apicella nacque a Cetara il 3 maggio 1783. Nel 1825 sposò Antonio Galotti, carbonaro che partecipò ai moti del 1820. La loro giovane figlia sposò Pasquale Apicella, anche lui cetarese, che il 27 settembre 1828 fu condannato a 19 anni di ferri per la sua appartenenza alla setta dei "Filadelfi" alla quale era stato introdotto dal suocero che l'aveva diffusa a Cetara. Durante il processo Apicella tentò di difendersi dichiarando di essere sempre stato realista e nemico di Galotti, delle cui manovre contro il governo aveva più volte informato la polizia di Salerno e Napoli. Anzi lo aveva denunciato insieme con la moglie Serafina come mandante del tentato omicidio nel quale era stato ferito con una fucilata.
Nello stesso processo Serafina Apicella fu condannata a venticinque anni di ferri e rinchiusa nel carcere salernitano di Sant'Antonio. La donna fu terribilmente torturata e in seguito alle feroci torture fece alcune rivelazioni che non servirono a farla assolvere. La sentenza affermava che la donna "scaltra e intraprendente ed investita anch'essa dello spirito di novità e di rivoluzione, non fu indifferente spettatrice delle macchinazioni, ma le facilitò".
Nel 1831 Serafina Apicella fu spedita all'isola di Ponza e nel febbraio del 1833, per intercessione della regina Maria Amalia d'Orléans, ottenne l'esilio in Francia. Trascorsi altri 4 anni ottenne la liberazione ma non le fu mai concesso di rientrare in patria. Non si hanno notizie sugli ultimi anni della sua vita in Francia e sulla sua morte.
Francesco Prudente
Francesco Prudente nacque a Cetara il 15 settembre 1804. A 14 anni entrò nel seminario di Amalfi e poco dopo fu condotto dal fratello a Napoli dove si dedicò agli studi medici. Dal 1835 al 1847 insegnò medicina ed esercitò presso l'Ospedale S. Maria di Loreto; coltivò con passione l'anatomia comparata e la fisiologia sperimentale, utilizzando proficuamente il microscopio quando ancora questo strumento era pressoché sconosciuto. Studiò l'apparato digerente di undici specie di pesci e il sistema cardiovascolare dei mammiferi. Fin dal 1838 si avvalse della chimica e della fisica per istituire sui liquidi biologici analisi che condussero a preziose osservazioni sulla respirazione e sulla funzione renale.
Non ricoprì cariche pubbliche sotto il governo dei Borboni; invece il nuovo regime, nel 1860, lo nominò direttore e professore della "Prima Clinica Medica dell'Università degli Studi di Napoli". Nel gennaio successivo Francesco Prudente fu elevato alla dignità di Senatore del Regno d'Italia. Il 19 maggio 1862 fu nominato "Ufficiale dell'Ordine Mauriziano"; nel '64 fu promosso "Commendatore" e nel '66 "Grande Ufficiale" del medesimo ordine. Fu presidente dell'Associazione Medica Napoletana dall'istituzione di questa fino al termine della sua vita. Quando nel 1865 il colera infierì su Napoli fu eletto presidente della Commissione di Vigilanza. In quel periodo era primario presso l'Ospedale dei Cavalieri di Malta a Napoli, nonché socio corrispondente di numerose Accademie italiane e straniere. Morì a Napoli l'undici maggio 1867.
Manfredi Nicoletti
Nato a Maiori il 16 gennaio del 1891, compie i primi studi da autodidatta, per iscriversi poi all’Accademia di Belle Arti di Napoli. È dapprima allievo di Dalbono e poi di Cammarano: in questi anni conosce Antonio Mancini con il quale stabilirà un rapporto di vera amicizia che si protrarrà nel tempo. Nel 1914 si diploma; nello stesso anno partecipa alla XXXVl a Promotrice con due dipinti, Chierichetto in sagrestia e Ritratto del pittore Pasini; nel 1915 è presente alla l a Esposizione Nazionale d’Arte, organizzata a Napoli ed inaugurata da una conferenza di Umberto Boccioni. Questa mostra, nella quale Nicoletti espone la tela Il rosario , rappresenta un momento importante per la cultura artistica napoletana: è il tentativo di rompere gli schemi e le logiche dei gruppi legati alla pittura tradizionale, proponendo artisti quali Edgardo Curcio, Eugenio Viti, Saverio Gatto, Achille D’Orsi. Nel 1921 partecipa con il pastello Testa di bimba alla l a Esposizione Biennale Nazionale d’Arte della Città di Napoli, presieduta da Benedetto Croce. Le opere di questi anni evidenziano una tavolozza scura, ove allo studio attento della figura, calibrata da un disegno meticoloso, si affianca un tentativo di caricare di tensione l’immagine: un esempio è offerto dalla tela Teste di bue del 1925. Tra il 1915 e il 1917 stringe amicizia con Luigi Crisconio che sarà, con Francesco Cangiullo e Ugo Fruscione, uno dei principali riferimenti della futura attività espositiva.
Del 1928 è la prima personale, allestita al primo piano dell’Edificio Scolastico Occidentale di Salerno, la stessa sede che, un anno prima, aveva ospitato la Mostra d’Arte fra gli Artisti del Salernitano: espone ben cinquantasei opere, tra oli e pastelli, gran parte realizzate negli anni Venti, le vedute di Ravello, le figure negli interni e poi i numerosi angoli della Costiera amalfitana, riassunti negli scorci di presepi magici, mossi da un colore fluido. Questi ultimi preannunciano il movimento di masse che si confondono nelle virgole di un segno esasperato, ritmi di bagliori delle luminarie presenti nel lungo e ricco ciclo delle feste popolari realizzato a partire dagli anni Trenta.
Del 1930 è la partecipazione alla collettiva "Pro Cultura Fascista" ordinata a Napoli e presentata da Edoardo Pansini: qui espone il Concerto serale , la Processione, l’Asilo d’infanzia. Nel 1931 è a Londra ospite della famiglia Alington che gli organizza una mostra alla Picture Gallery di Eton College. Il soggiorno inglese non dura molto tempo; motivi familiari, nonché climatici lo riportano in Italia nel suo studio di Ravello.
Nel 1931 è invitato alla l a Quadriennale d’Arte Nazionale, ove espone Festa notturna del 1930; alla II Mostra Salernitana d’Arte, del 1933, mentre nel maggio del 1939 il Circolo Artistico di Napoli organizza alla Villa Comunale una sua personale.
Chiude questo periodo la mostra organizzata al "Bragaglia fuori commercio" (Casa dell’arte Bragaglia) a Roma nel 1940, presentata da Alfredo Schettini. Il significato che riveste questa mostra è notevole e precisa quell’adesione di tendenza, anche se velata da motivi autoctoni, che Cangiullo aveva già rilevato presentando la mostra del 1928. Espone soprattutto le feste, costruite sulla forza dinamica delle luminarie, delle bande musicali, insomma quel movimento di luci che si riflettono sugli ottoni, che agitano mani informi, tra volti e teste ridotte a macchie di colore puro. Seguono le personali allestite a Salerno, nella nuova sede del Partito Socialista del 1944 e quella organizzata nel Salone della Casa del Combattente del 1949; a Cava de’ Tirreni del 1953. Nello stesso anno partecipa alla l a Rassegna delle Arti Figurative nel Mezzogiorno a Napoli. Nel 1955 espone alla Prima Mostra dei Pittori Salernitani, promossa dal Centro di Cultura; nel 1957 prende parte alla lll a Mostra Artisti Salernitani, organizzata dall’Ente Italiano Pro-Cultura di Salerno, introdotta al catalogo da Fortunato Bellonzi.
In questi anni la pittura di Nicoletti è orientata allo studio delle architetture mediterranee, alla struttura delle rocce che disegnano la Costiera: la luce cristallina che si rifrange nell’aria tersa è l’elemento dominante di questi dipinti. È una luce che esalta la trasparenza delle tinte, che scava e definisce i volumi: l’artista approda ad uno spazio-luce costruito da un colore vibrante, modulato da zone chiuse, riprendendo quella composizione cromatica altamente razionale, propria di Cézanne. Rompe così lo schematismo prospettico e scenografico della pittura di paesaggio, vivo nella tradizione napoletana. Muore a Cetara I’8 agosto del I978.
Ugo Marano
Ugo Marano nasce a Capriglia di Pellezzano (Sa) nel 1943 e da sempre risiede a Cetara. Frequenta l’Accademia del Disegno presso la Reverenda Fabbrica di San Pietro nella Città del Vaticano a Roma e l’Accademia del Mosaico di Ravenna.
Sin dagli anni di formazione la sua ricerca tende allo stravolgimento radicale del linguaggio per cercare di sviluppare un nuovo codice di lettura del reale e il piatto di terracotta diviene mezzo per una comunicazione collettiva e osmosi sociale. Seguendo la sua idea radical-concettuale nel 1971 crea il progetto "Museo Vivo" facendo nascere, in un piccolo parco nascosto tra gli alberi, un opificio della ceramica basato su una architettura "esistenziale", luogo che deve essere ricco di "radicalità positiva". Nell’ambito di questo progetto nasce il sodalizio con Stockhausen, una collaborazione che produce alcune opere notevoli. Nel 1975 è invitato ad esporre alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di Venezia nel 1976.
Nel 1977 viene chiamato a progettare ed eseguire personalmente il restauro dei mosaici del Duomo di Amalfi, della cripta di epoca romana del Duomo di Potenza e del Duomo di Salerno.
Nel 1979 espone alla Triennale di Milano, dove nel 1980 tiene anche una conferenza. Nel 1980 è di nuovo alla Biennale di Venezia ("Il tempo del museo").
In questi anni nasce il progetto la "Fabbrica Felice", nel quale studia lo spazio di esistenza dell’uomo nuovo, l’uomo di natura. L’uomo trova nell’interazione con l’oggetto d’arte un rapporto profondo ed inconscio che lo motiva e lo sostiene nella vita quotidiana. Nel 1982 espone al Centre Pompidou di Parigi il suo "Manifeste du livre d’Artiste" e nello stesso anno realizza il primo "antimonumento" in Italia, a Salerno, per i martiri del terrorismo. Nel 1990 espone alla Triennale di Milano e al Groninger Museum in Olanda, dove gli viene riservata una sala personale.
Nel 1991 è alla XVIII Triennale di Milano. Nello stesso anno crea un’associazione di vasai che chiamerà "Vasai di Cetara" con lo scopo di svolgere un lavoro creativo libero da preclusioni accademiche o da schemi dogmatici. Nel 1995 espone a Parigi al Carrousel du Louvre. Nel 1996 progetta e realizza due utopie: la Fontana Felice a Salerno e il Museo Città Creativa a Rufoli. Nel 1997 elabora con l’economista Pasquale Persico progetti per la risemantizzazione dei luoghi della vita dell’uomo e ne realizza alcuni presso il Parco Nazionale del Cilento e il Vallo di Diano, località che sono state dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità, composte da cento paesi su un territorio di circa 300.000 ettari. Progetta quattro piazze sulle montagne della Campania con l’intento di unificare la regione. Nasce così il progetto della "Città Moltiplicata". Successivamente, pienamente convinto della necessità sociale dell’arte, partecipa al Piano Strategico per l’associazione di sei comuni intorno a Copparo, in provincia di Ferrara, con progetti per un territorio di 50.000 ettari. Nasce così il Museo Fabbrica Creativa. Nel 1997 viene invitato ad esporre una personale a Napoli, nella sala Carlo X, nel Maschio Angioino. Nel 2001 seguendo le linee del suo progetto artistico realizza, a Cetara, la Fontana di Napoleone e crea una galleria d’arte contemporanea, la "Piazza della Ceramica": si tratta di un "pensatoio" che si estende per tre vie della città, una "zona franca di meditazione" in pieno centro cittadino. Nel 2002 espone alla mostra internazionale "I Capolavori", a Torino e viene chiamato dall’architetto Mendini a realizzare due grandi opere per la metropolitana di Napoli, presso la stazione Salvator Rosa.
Nel 2003, a 60 anni, a seguito della sua ricerca di nuovi linguaggi espressivi gli viene conferito il dottorato e la laurea honoris causa dalla Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Salerno. Nel 2004, in collaborazione con il gruppo STS (Latz, con Pession e Cappato) vince il concorso internazionale per la realizzazione del Parco Dora Spina 3 a Torino e espone in Francia, nella mostra "Mosaïque de design". Nel 2005 partecipa a alla mostra "Mundus Vivendi", insieme a Sottsass, Branzi, Coppola e Hosoe, realizzando un intero pavimento dipinto. La sua ricerca artistica si esprime attraverso grandi opere in ceramica, vasi alti fino a 3 metri e di soli 6 millimetri di spessore, naturalmente musicali. I "vasi del terzo millennio" hanno richiesto l’apposita costruzione di un forno da Enzo Santoriello, esperto tecnico della cottura che ha collaborato per realizzare opere "impossibili" anche con Miquel Barcelò ed Enzo Cucchi. Quest’opera viene scelta dal MIAAO, il primo museo dedicato in Italia alle arti applicate contemporanee, per la sua apertura ufficiale nel 2006, in concomitanza con la prima giornata di gare dei XX Giochi Olimpici Invernali, per una mostra personale dell’artista che viene intitolata Sette vasi per la casa sacra.
Nel 2006 partecipa alla Triennale di Milano con il "bestiario", un pavimento in monoliti di 60x120 cm. Nel 2007 partecipa all’incontro con i poeti Lawrence Ferlighetti, Jack Hirschman, Agneta Falk e del fotografo e filmaker Chris Felver. Nel 2011 è invitato alla mostra "Lo stato dell’arte - Campania" nell’ambito del Padiglione Italiano della 54a Biennale di Venezia.
Muore nell'ottobre del 2011 lasciando un grande numero di opere e di progetti e idee ancora da realizzare.